WikiIslam:Sandbox/citazioni di famosi infedeli sull'islam: Difference between revisions

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==Apostolos Euangelou Vacalopoulos==
==Apostolos Euangelou Vacalopoulos==


{{Quote||La rivoluzione del 1821 non è altro che l’ultima grande fase della resistenza dei greci alla dominazione ottomana; fu una guerra non dichiarata e incessante, iniziata già nei primi anni di servitù. La brutalità di un regime autocratico, caratterizzato dal saccheggio economico, decadimento intellettuale e regressione culturale avrebbe sicuramente creato opposizione. Restrizioni di ogni tipo, tassazione illegittima, lavoro forzato, persecuzioni, violenza, imprigionamenti, morti, rapimenti di ragazze e ragazzi e il loro confinamento negli harem turchi e vari atti di lussuria, assieme a numerosi altri eccessi meno offensivi – tutto ciò costituiva una sfida costante all’istinto di sopravvivenza e sfuggivano ad ogni senso di decenza umana. I greci sopportarono amaramente tutti gli insulti e le umiliazioni e la loro frustrazione e angoscia li spinse alla ribellione armata. Non c’era nessuna esagerazione nelle parole di uno dei bey [capi turchi] di Arta, quando cercò di spiegare la ferocia della lotta. Disse: “Abbiamo commesso ingiustizie contro i dhimmi (i nostri sudditi cristiani) e abbiamo distrutto sia il loro benessere sia il loro onore; hanno perso ogni speranza e hanno preso le armi. Questo è solo l’inizio e porterà alla fine del nostro impero”. La sofferenza dei greci sotto il dominio ottomano furono dunque la causa principale dell’insurrezione; un incentivo psicologico fu fornito dalle circostanze della situazione.<ref>Vacalopoulos, A.E. Il contesto e le cause della rivoluzione greca, Neo-Hellenika, Vol. 2, 1975, pp.54-55</ref>
{{Quote||La rivoluzione del 1821 non è altro che l’ultima grande fase della resistenza dei greci alla dominazione ottomana; fu una guerra non dichiarata e incessante, iniziata già nei primi anni di servitù. La brutalità di un regime autocratico, caratterizzato dal saccheggio economico, decadimento intellettuale e regressione culturale avrebbe sicuramente creato opposizione. Restrizioni di ogni tipo, tassazione illegittima, lavoro forzato, persecuzioni, violenza, imprigionamenti, morti, rapimenti di ragazze e ragazzi e il loro confinamento negli harem turchi e vari atti di lussuria, assieme a numerosi altri eccessi meno offensivi – tutto ciò costituiva una sfida costante all’istinto di sopravvivenza e sfuggivano ad ogni senso di decenza umana. I greci sopportarono amaramente tutti gli insulti e le umiliazioni e la loro frustrazione e angoscia li spinse alla ribellione armata. Non c’era nessuna esagerazione nelle parole di uno dei bey [capi turchi] di Arta, quando cercò di spiegare la ferocia della lotta. Disse: “Abbiamo commesso ingiustizie contro i dhimmi (i nostri sudditi cristiani) e abbiamo distrutto sia il loro benessere sia il loro onore; hanno perso ogni speranza e hanno preso le armi. Questo è solo l’inizio e porterà alla fine del nostro impero”. La sofferenza dei greci sotto il dominio ottomano furono dunque la causa principale dell’insurrezione; un incentivo psicologico fu fornito dalle circostanze della situazione.<ref>Vacalopoulos, A.E. Il contesto e le cause della rivoluzione greca, Neo-Hellenika, Vol. 2, 1975, pp.54-55</ref>}}


{{Quote||At the beginning of the eleventh century, the Seljuk Turks forced their way into Armenia and there crushed the armies of several petty Armenian states.  No fewer than forty thousand souls fled before the organized pillage of the Seljuk host to the western part of Asia Minor.  From the middle of the eleventh century, and especially after the battle of Malazgirt [Manzikurt] (1071), the Seljuks spread throughout the whole Asia Minor peninsula, leaving error, panic and destruction in their wake.  Byzantine, Turkish and other contemporary sources are unanimous in their agreement on the extent of havoc wrought an the protracted anguish of the local population…[The Greek chronicler] Kydones described the fate of the Christian peoples of Asia Minor thus:
{{Quote||At the beginning of the eleventh century, the Seljuk Turks forced their way into Armenia and there crushed the armies of several petty Armenian states.  No fewer than forty thousand souls fled before the organized pillage of the Seljuk host to the western part of Asia Minor.  From the middle of the eleventh century, and especially after the battle of Malazgirt [Manzikurt] (1071), the Seljuks spread throughout the whole Asia Minor peninsula, leaving error, panic and destruction in their wake.  Byzantine, Turkish and other contemporary sources are unanimous in their agreement on the extent of havoc wrought an the protracted anguish of the local population…[The Greek chronicler] Kydones described the fate of the Christian peoples of Asia Minor thus:
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